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sabato 22 giugno 2013

Sulla mano destra..

Sono mancina, scrivo con la mano sinistra, la stessa che uso per mangiare e fare una miriade di altre cose. Dopo aver brillantemente superato il problema delle forbici alla scuola elementare, non ho più prestato attenzione alla questione finché non ho iniziato a viaggiare nei paesi arabi dove la mano destra è l’unica che conta e soprattutto quella che ognuno dovrebbe usare per mangiare.
All’epoca continuavo a giustificarmi dicendo, quando mi trovavo a mangiare in famiglia in particolare, che la mia mano forte è la sinistra, l’altra mano, quella sacra, non riuscivo ad utilizzarla. In realtà non mi sono mai sforzata perché non lo ritenevo importante, come non lo ritengo tuttora.
Appena prima di partire per il Ghana avevo letto da qualche parte e anche Khadi, una delle mie studentesse all’associazione, mi aveva detto che avrei dovuto piegarmi alla regola della mano destra per mangiare, altrimenti mi sarei sentita a disagio e lo avrei provocato anche alle persone che stavano condividendo con me il pasto.
Maggie, la mia sorellina ghanese che ha tredici anni ma agisce già come una donna matura, si occupa degli affari della casa e di vendere acqua, gelati, bibite varie dopo scuola, è mancina come me ma mangia con la destra e come lei molti altri mancini.
Allora, dopo che mi è stato detto che passare un qualsiasi oggetto ad un’altra persona con la mano impura è molto scortese, dopo aver sentito dire svariate volte “Sorry for the left” ho deciso di sforzarmi e mangiare con la mano giusta, ovviamente non se devo usare le posate perché è troppo difficile e tremo come una foglia in autunno, ma per mangiare con le mani gli squisiti piatti della cucina ghanese e ce l’ho fatta.
Ogni tanto me lo dimentico, l’istinto primordiale dice qualcos’altro, però posso dire che riesco a mangiare con la destra, la vostra mano santa e pulita, la mia mano debole o inutile. Che passo gigante in avanti. Passato questo scoglio posso fare tutto insomma e voi provate a mangiare con la vostra sinistra.

lunedì 17 giugno 2013

Una domenica "prestata" al Vuduismo

Sabato mattina sono stata di nuovo a Glefe, il villaggio accanto al mio per il lavoro sul campo con Ro e Adjei. Siamo ritornati dall’uomo accusato di stregoneria per capirci qualcosa in più, e ci ha parlato delle pratiche vudù che usava fare il padre, ci ha mostrato orgogliosamente i suoi tatuaggi e ci ha raccontato di quando faceva il pescatore al porto di Tema. Dopodiché abbiamo continuato il nostro lavoro finché poco prima di rientrare a casa sotto il sole cocente, Adjei ci porta in un posto del villaggio dove un prete feticista pratica il vuduismo. Appena entrati nel cortile di casa tutto dipinto di rosa, si palesano davanti ai miei occhi tutti gli oggetti che utilizza per i suoi riti. Ci invita a partecipare il giorno dopo al rituale alle ore 15.00. Per la fotografia, chiederà espressamente ai “ghosts”.
Poche ore prima del rito, dopo aver discusso a colazione con Ro sulla questione e sui precedenti, mi chiedo se voglio andarci veramente, dovrei razionalmente allontanarmi dall’occulto e dall’esoterismo per una lunga serie di motivi che non vi elenco, ma ci vado in ogni caso perché istintivamente non riesco a non essere incuriosita e spaventata. Voglio vedere quello che succede.
In ogni caso mi sono ritagliata la mattina per meditare un po’ e tranquillizzarmi. Pranzo domenicale con spaghetti aglio, olio e peperoncino. Per esorcizzare.
Adjei ci riaccompagna lì, ma dice che non assisterà al rito. Ci indica il cammino e poi se ne va.
Ovviamente ci invitano a toglierci la maglia e le scarpe prima di entrare. La musica è talmente assordante e coinvolgente che non si riesce nemmeno a fare una parola, all’ingresso un pollo sgozzato che pende dall’alto, un povero gattino mezzo morente, vari talismani, amuleti, fiumi di apetesche (il liquore locale), gente che balla, che perde i sensi, che chiede qualcosa di incomprensibile al prete, parlano in Ewe.
I fantasmi non ci hanno dato la possibilità di fotografare, quelli in questione avevano una voce simile a quella di un tacchino che stramazza. Osserviamo la cerimonia per un po’ di tempo. Non succede nulla di assolutamente trascendentale. Sembrava una celebrazione che sfiora il paganesimo e la realtà metropolitana allo stesso tempo.
Dopo un paio di ore ce ne andiamo, in fondo è domenica e vogliamo approfittare della spiaggia e del chioschetto, dell’aria dell’Oceano bollente che soffia incessantemente, aperitivo e come sempre solidi o fuggenti incontri all’orizzonte.

mercoledì 12 giugno 2013

Rastaman Vibration

Ho passato una notte e un giorno a Kokrobite. Una tranquilla cittadina poco distante da Accra, sul mare, a una trentina di chilometri dalla capitale. Sono arrivata lì verso le 21.00 con il mio compagno di viaggio che purtroppo tra tre settimane se ne torna in Italia e mi lascia sola al mio destino, lettone permettendo.
Dopo aver preso tre tro-tro per arrivarci, incontriamo un ragazzo che lavora all’Art Centre di Accra, si chiama Ruben o Coby. È un rasta vero, in tutto quello che dice e in tutto quello che fa, esiste una sola cultura, una sola filosofia di vita, una sola musica, un solo credo, una sola grande comunità. Ci recupera al capolinea e ci accompagna al resort sul mare che organizzava una serata reggae.
Prima di tutto ci siamo assicurati il posto a dormire all’interno di una capanna-loft semi-aperta con 12 letti in fila e zanzariere, il tutto a 12 cedi. Una sciocchezza. Ruben ci ha presentato qualche suo amico e abbiamo passato un po’ di tempo prima dell’evento chiacchierando del più e del meno e chiedendo svariate info sul villaggio.
Kokrobite è il nome di una donna, che ha vissuto in un epoca non ben precisata, presumibilmente intorno al XVI secolo, nel villaggio. Una donna talmente forte che, un po’ grazie al suo mestiere, hanno iniziato a riconoscere come divinità. Qui la comunità Rasta è molto presente, per fortuna, così ho parlato per un po’ dei temi più disparati ma ho capito quanto loro siano emarginati solo perché fumano l’erba. Allora, la libertà è tutto, è la vita stessa e ognuno ha il diritto di fare della sua vita ciò che meglio crede, in fondo non stanno ammazzando nessuno. Un’altra chiesa che convive con le altre quindicimila presenti qui, che però mi è sembrata di più larghe vedute, molto attenta all’educazione e alla formazione, genialmente più ricchi di spirito, poi del Rastafarianesimo c’è un punto in particolare che non condivido, però non possono essere tutti perfetti.
Seratina piacevole poi abbiamo ballato in mezzo a una folla mista di obruni, rastaman, ghanesi e non. Io ho finito la serata in compagnia di un musicista di balafon, uno xilofono di legno, del Burkina Faso che vive ad Accra parlando in francese del più e del meno, per poi collassare nel letto alle cinque di mattino, orario oramai alquanto strano ma che meno di due mesi fa era la regola.
Un weekend brevissimo ma azzeccato, colazione con liquore locale e il riso e pollo fritto di strada più buono mai mangiato fino ad ora, cucinato sul momento da un certo Jo, che dice di essere fidanzato con una certa Elisabetta di Bologna e sogna di fare affari nel bel Paese.
Al mio rientro ho riflettuto su questa comunità, ma molto popolosa e proprio poche ore fa passeggiando in spiaggia ho incontrato un altro rastaman, Natty, che sta buttando su un chioschetto in spiaggia, su due livelli, proprio dietro a casa mia.
Le zanzare mi stanno decisamente tormentando adesso, tra l’alluce e il ginocchio ho tante punture quante le mie treccine che son più di un centinaio e spesso, anche la zanzariera che mi dà un po’ di senso di claustrofobia non conta più. Passata la stagione delle piogge diventerà il mio punto di riferimento per le serate estive con i volontari che verranno.
Poi il 10 giugno è una data da ricordare, per il compleanno della mia sorellina marocchina che ormai è più italiana di me, Treviso che cambia finalmente rotta dopo 19 anni di regno leghista, il lavoro sul campo con Adjei e Mr John Donkor che mi ha portato ad incontrare persone che vivono a Glefe, il quartiere qui vicino a Wiaboman, persone che raggiungiamo per ‘consulenza’ medica o psicologica perché disabili, anziani, stregoni o solo più sfortunati.
Ah, la mia nuova pettinatura riscuote molto successo tra i locals, il computer è tornato in vita e l’ho riordinato un po’, insieme alla camera e alla mia vita che adesso sembra avere senso. Jah!